DIALOGO ISLAMO CRISTIANO

99 lità del capo dello stato. Diventa un obbligo personale in caso di necessità. Non deve esi- stere tra musulmani. I non musulmani sono “protetti” una volta integrati nel mondo mu- sulmano. La forma di Jihad che i mistici ed i morali- sti preferiscono ‚ però quella che si svolge nell’anima del credente. Una guerra tra fra- telli di fede ‚ illecita ed inconcepibile in termi- ni giuridici islamici. Per questo motivo, se un leader musulmano ha intenzione di muovere guerra ad un Paese musulmano, deve prima dichiarare questo Paese miscredente, ateo, in arabo kàfir. Dichiarando l’altro kàfir, la dichiarazione di guerra diventa legittima ed inevitabile , perché viene condotta contro i miscredenti. Per esempio nel conflitto Iran-Iraq, che ha causato un milione di morti, oppure nella guerra del Golfo. Ciascuna fazione ha di- chiarato l’altra kàfir, proclamandosi paladina dell’Islam emettendo sulla propria bandiera, laddove non c’erano prima, i simboli isla- mici. L’Iraq, un Paese che si definisce laico, ha così inserito nel suo vessillo nazionale le parole Allàh-u Akbar, Dio ‚ il più grande, evidenziando una motivazione religiosa per attaccare l’avversario in nome di Dio. Imma- ginatevi il travaglio del soldato iracheno cri- stiano che si trova a combattere p r la guerra santa dell’Islam! Una pressione religiosa e sociale che incita a cambiare religione o ad emigrare verso l’Occidente. Il concetto di comunità islamica (umma) pre- vale su quello di cittadinanza (watan). Una conferma di questo atteggiamento ‚ venu- ta anche in occasione del recente conflitto in Afghanistan. Lo stesso vale p r il Koso- vo, la Cecenia, l’Afghanistan, le Filippine, le Molucche ed ovunque i musulmani siano in guerra, dove vediamo gruppi armati arrivare da diversi Paesi musulmani per combattere la Jihad contro i nemici dell’Islam (che so- vente sono dei cristiani): si fanno chiamare mujàhidin ed operano in vari Paesi per fo- mentare rivoluzioni o sostenere ribelli e mo- vimenti di liberazione nazionale con l’obietti- vo dichiarato di difendere l’Islam minacciato dagli “infedeli”. L’abbiamo riscontrato nella guerra civile del Libano quando volontari arrivati da Libia, Al- geria ed Iran sono affluiti a fianco del partito di Dio contro la parte cristiana della popo- lazione. L’Occidente non rimane indenne di questo movimento, in quanto vediamo citta- dini occidentali musulmani, convertiti o no, che sono affluiti in Iraq ed in Afghanistan per combattere a fianco del fratello musulmano, certe volte contro il loro stesso Paese. E’ qui che emerge con chiarezza che l’obiet- tivo di combattere la guerra santa per l’Islam prevale sulla motivazione politico-naziona- le a livello internazionale. L’interpretazione “bellica” dell’Islam fatta da una parte dei gruppi musulmani più rumorosi ‚ autentica ma però non esclusiva. Una prima avvisaglia l’aveva lanciata il cardinale Martini: “L’Islam non ‚ solo fede personale, bensì realtà comunitaria molto compatta ed una parola d’ordine lanciata da qualche voce autorevole al momento oppor- tuno può ricompattare e ricondurre ad unità serrata anche i soggettivismi o i sincretismi religiosi vissuti da un singolo individuo”. La violenza ha fatto parte dell’Islam nascen- te. Ma il problema ‚ che, oggi, i gruppi musul- mani più agguerriti continuano ad adottare quel modello. Dicono: “Anche noi dobbiamo portare all’Islam i non musulmani come ha fatto il Profeta, con la guerra e la violenza”, e fondano queste affermazioni su alcuni ver- setti del Corano. Quando gli eserciti musulmani sono partiti alla conquista del Medio Oriente e di vaste aree dell’Asia e dell’Africa , dovevano anzi- tutto assicurarsi il controllo delle terre con-

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