DIALOGO ISLAMO CRISTIANO

134 Libano, come dichiarato dall’attuale Pa- triarca della Chiesa di quel Paese, continua incessante l’esodo dei maroniti, ortodossi e cattolici. I cristiani dell’Iraq sono continua- mente perseguitati e condannati a morte secondo la sharia, come testimoniano di continuo i tanti profughi iracheni che vivo- no in Italia. Anche l’Egitto, Paese che passa per pro- gredito, ha reso difficile la sopravvivenza dei cristiani copti. Debbono nascondere la loro fede, altrimenti vengono emarginati e di conseguenza non possono lavorare per vivere. Questo l’ho potuto constatare di persona attraverso testimonianze dirette in un soggiorno a Sharm el-Sheikh. Potrei continuare sullo stesso argomento, sem- pre con fatti e azioni anticristiani accertati in Iran, Turchia, Algeria, Pakistan, Sudan e così via. Non sono l’edificazione di alcune chiese, come si evidenzia dalla sua rispo- sta, che possono determinare i Paesi isla- mici come tolleranti. Quando queste chiese sono vuote perché frequentarle può costare la vita, forse è meglio non costruirle. Gabriele Murra, Bolzano Caro Murra, non ho detto che i Paesi islamici sono tol- leranti. Mi sono limitato a spiegare perché il princi- pio della reciprocità sia difficilmente applica- bile nelle circostanze da me descritte. E ho aggiunto che un Paese democratico, fondato sulla tolleranza, non può venire meno ai pro- pri principi senza tradire se stesso. Vi sono comunque nella sua lettera argo- menti che suggeriscono qualche riflessione. E’ certamente vero che i cristiani, in alcuni Paesi musulmani, sono vittime di tratta- menti ingiusti e privati di alcune fondamen- tali libertà. Ma i casi da lei elencati sono molto ete- rogenei. In Siria, qualche mese fa, sono stato molto favorevolmente colpito da due fattori: l’ospitalità assicurata dalle autorità siriane ai profughi iracheni (molti dei quali sono cristiani) e l’esistenza di un quartiere ad Aleppo in cui sorgono chiese che rap- presentano tutti i culti cristiani del Levante. In Libano, recentemente, ho incontrato il Patriarca dei maroniti, Nasrallah Boutros Sfeir, nel suo palazzo di Bkirki alle pendi- ci delle colline che salgono verso il Monte Libano. Da lui ho appreso che un milione di maroniti ha lasciato il Paese durante i lunghi anni della guerra civile. Non sono partiti, tuttavia, perché colpiti da particolari discriminazioni e persecuzioni. Se ne sono andati da un Paese in guerra perché, a differenza di altri gruppi religiosi, potevano contare sulla solidarietà di una grande diaspora maronita (circa otto milio- ni di persone), ormai felicemente installata in Europa, nelle Americhe e in Australia. Le ricordo che in Libano, nonostante la for- te diminuzione della componente cristiana, la costituzione materiale prevede tuttora che il presidente della Repubblica (l’ultimo è stato eletto dal Parlamento due mesi fa) sia maronita. Il caso iracheno è certamente il più doloroso. Ho incontrato a Damasco profughi assiri e caldei che sono stati mal- trattati, ricattati, costretti a scegliere fra l’e- silio e la morte. Ma conviene ricordare che nell’Iraq di Saddam Hussein questi stessi cristiani potevano liberamente professare la loro fede ed esercitare le loro attività eco- nomiche. Il dramma delle comunità cristia- ne irachene comincia con l’invasione ame- ricana del Paese nella primavera del 2003. In Egitto i copti rappresentano grosso modo il 6% di una popolazione che com- prende 71 milioni di persone. Vi sono stati incidenti e scontri sanguinosi con gruppi dell’islamismo radicale, soprat- tutto durante la campagna elettorale per il rinnovo dall’Assemblea popolare. E il go- verno è forse meno liberale nei loro con- fronti di quanto fosse in passato. Ma i copti continuano ad avere posizioni importanti nella società egiziana.

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