DIALOGO ISLAMO CRISTIANO
228 SE A SCUOLA C'È L'ISLAM MESSAGGIO TELEFAX 9/11 - 1998 Data: A : dr. Ernesto Galli Della Loggi DA : G. Eid Numero di pagine:1 Oggetto: Se a scuola c’è l’Islam - pubblicato Lunedi 31 Agosto 1998 9 Novembre 1998 L’avvicinarsi delle celebrazioni per il cin- quantenario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo approvata dalle N.U. il 10 dicembre 1948 mi consente di esporle alcune riflessioni. La prima fra tutte è che la Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo emanato dal Consiglio Islami- co d’Europa presso la sede dell’UNESCO il 19 settembre 1981 è in netto contrasto con quella delle N.U.. Questo spiega alcuni comportamenti e proclami da i centri isla- mici stabiliti in Europa. E’ noto che il diritto islamico (sharia) preve- de usi, costumi diversi da quelli del mondo occidentale e potrebbe sembrare normale che i responsabili islamici vogliano impor- targli in Europa. Però, Le leggi del mondo arabo non sono uguali in tutti i paesi: ad ec- cezione dell’Arabia Saudita e del Sudan, i paesi arabi applicano la sharia soltanto per la parte riguardante la famiglia e le succes- sioni, cioè lo statuto personale, e non tutti allo stesso modo. Il punto cruciale che voglio far notare ai no- stri responsabili, è di fare la differenza tra una richiesta per aderire ad un imperativo religioso e altre che riguardano usi e co- stumi prevalenti nel mondo islamico, e più precisamente quello arabo fonte principale dall’immigrazione musulmana. A me sem- bra che le singole richieste riguardino nor- me di vita prevalenti nei paesi del Golfo e siano meno comuni in altri paesi arabi: Me- shraq, Egitto o Tunisia. Senza entrare nel merito delle singole ri- chieste, (foulard, chador, mense, ginnasti- ca, studio della lingua materna - arabo o ebraico o filippino o indonesiano o cinese-), alcune delle norme citate nel suo articolo non sono in vigore nei paesi arabi, se non soltanto negli ultimi vent’anni, e non in tut- ti gli ambienti sociali. Più precisamente, sono più comuni negli ambienti rurali che nelle città. Ho passato gli esami di matu- rità classica egiziana, a fianco di coetanei d'ambedue i sessi, poi l’università organiz- zava viaggi per studenti senza distinzione di sesso (ovviamente in camere separate) e non ricordo neanche un caso di chador. Nessuna importanza era data ad un foulard isolato sulla testa di una ragazza (lo chador è un’altra cosa). Le gare sportive all’uni- versità erano miste. Non per questo erano meno musulmani, o meno praticanti, anzi. Concordo pienamente che la scuola è il luo- go ideale per l’integrazione dei giovani immi- grati nella società che hanno scelto di condi- videre, per imparare lingua, cultura, storia e, perché no, conoscere i principi della religione cristiana predominante nel paese. Adottan- do e vivendo le regole e le norme del paese d’adozione, pur senza rinunciare alla propria identità, si previene la formazione di ghetto che diventano le bombe ad orologeria degli anni futuri. Proseguendo sul tema della convivenza le segnalo un mio libro sull'immigrazione de- gli arabi, cristiani e musulmani, nel nostro paese . (Cristiani e musulmani verso il 2000 una convivenza possibile). Editoriale libri Paoline. Io stesso egiziano di nascita, italiano d'a- dozione, economista d’impresa, ho voluto mettere la mia esperienza internazionale al servizio dell’Italia allo scopo di ravvicinare i popoli delle due rive del Mediterraneo.
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