DIALOGO ISLAMO CRISTIANO

50 santo diritto di equa tutela. “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”, sostiene l’ar- ticolo 6. Ed il 7: “Tutti sono uguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discrimi- nazione, ad una eguale tutela da parte della legge. (...)”. Anche a questo proposito le differenze con il diritto islamico sono sostanziali, basti pen- sare alle differenze tra musulmani e non musulmani, al diritto di famiglia, ai diritti del- la persona, al valore della testimonianza in giudizio. A proposito del diritto matrimoniale, pren- diamo l’articolo 16: “Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fonda- re una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno uguali diritti e doveri riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scio- glimento. (...)”. Nell’I slam non è consentito ad una donna musulmana di sposare un uomo di religione diversa, a meno che questi non si conver- ta. Nei matrimoni misti, quando il coniuge maschio è musulmano, i figli diventano au- tomaticamente musulmani, senza possibilità di scelta. L’iscrizione nei registri dello stato è automatica e senza possibilità di revoca. L’uomo ha la possibilità di ripudiare la don- na, la quale per il diritto vale “la metà”: la sua testimonianza in tribunale non ha lo stesso valore di quella dell’uomo (non può depor- re in cause penali di una certa delicatezza); nelle norme di successione alla donna spet- ta una quota di eredità dimezzata rispetto a quella dell’uomo. Secondo la shari’a nessu- na donna può ricoprire un incarico pubblico che preveda autorità sugli uomini. Un uomo può avere fino a quattro mogli ed ottenere con facilità il ripudio; la donna può avere un solo marito alla volta e difficilmente ottenere il divorzio. In flagrante contraddizione con l’articolo 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, gran parte delle costituzioni dei paesi islamici, con eccezione di Turchia e Tu- nisia, vietano ad un cristiano o ad un ebreo di sposare una donna musulmana. E’ inoltre proibito per una donna sposare un cittadino appartenente ad una religione non ricono- sciuta legalmente. La conversione dall’Islam ad un’altra religione n non è possibile ed è ma è perseguibile penalmente come crimi- ne contro la società. Le conseguenze vanno dall’annullamento del matrimonio già con- tratto, alla privazione della custodia dei figli, all’interdizione ad ereditare, alla” morte civi- le”. In Iran, Arabia Saudita e Sudan si rischia la pena capitale, come é toccato all’intellet- tuale sudanese Mahmoud Mohamed Taha il 18 gennaio 1985 e a Hossein Soodmand in Iran il 13 dicembre 1990. Nell’articolo 18 vengono prese in esame la libertà di pensiero, coscienza e religione: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pen- siero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o fede, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, in pubblico e in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamen- to, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. Per un musulmano, passare ad un’altra reli- gione significa la” morte civile” ed in qualche caso addirittura l’impiccagione. Il conver- tito perde i figli, la famigli, i beni. Ed inoltre espone la comunità religiosa che lo accoglie a ritorsioni. In pratica è costretto ad emigra- re e a prendere la cittadinanza di un paese non ancora toccato dal jihad che mira ad estendere la legge islamica in tutto il mondo. Anche la libertà d’espressione è fortemente limitata. Un progetto di legge in Egitto prevedeva la pena di morte per l’apostato, è stato bloc- cato in extremis dal presidente Sadat. Il sig. Ali Mahgoub, Presidente della commissione parlamentare per gli affari religiosi nel 1994, chiede i lavori forzati a vita per la più grande offesa contro l’islam, l’apostasia. A proposito della partecipazione al governo

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