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Chiesa Ambrosiana
Il testo sulla sistematica persecuzione e progressiva emarginazione millenaria dei cristiani nelle aree di dominazione musulmana è stato inviato da Giuseppe Samir Eid. È una statistica impressionante di una “tragedia occultata” con i dati in progressivo sviluppo nelle varie aree geografiche.
I MARTIRI DIMENTICATI
I cristiani del Medio Oriente, copti in Egitto, maroniti in Libano, caldei in Irak, armeni in Turchia, melchiti o ortodossi in Siria, o ancora Palestinesi di Betlemme, conoscono da più di mezzo secolo un esodo silenzioso. Cacciati dalle loro terre natali a causa della guerra e del flusso dell’Islam.
Ritorno su una tragedia nascosta.
La principale popolazione di rifugiati, nel Medio Oriente, non sono i Palestinesi musulmani, vittime della prima guerra arabo-israeliana del 1948, nemmeno gli ebrei dei Paesi Arabi ed Iran, costretti ad un esodo simmetrico tra il 1945 e il 1979, ma i cristiani di cultura araba, aramaica , armena o greca.
Quasi dieci milioni di questi ultimi sono stati indotti ad abbandonare le loro case o a emigrare, dalla I guerra mondiale: il rapporto, con i rifugiati musulmani di Palestina (mezzo milione di persone all’origine) è dunque approssimativamente di 20 a 1; con gli ebrei dei Paesi islamici (quasi un milione di espulsi), il rapporto sarebbe di circa 10 a 1. Questi dati stranamente non sono ben conosciuti.
Ancora più sorprendente: l’esodo dei Cristiani si svolge sotto i nostri occhi all’alba del XXI, senza suscitare molta compassione e neanche curiosità mediatica . Il caso più lampante è quello dei Palestinesi cristiani di Cisgiordania: venti anni fa formavano il 15% della popolazione locale; dalla costruzione di un potere palestinese autonomo, nel 1994 , non sono più del 2 o 3%.
Una situazione analoga si delinea in Egitto, dove la minoranza cristiana copta, ieri fiorente , si è un po’ alla volta ridotta ad emigrare.
Il giornalista americano Joseph Farah, lui stesso di origine arabo cristiana, stima che a questo ritmo, nel Medio Oriente si possa passare da una popolazione cristiana attuale di 15 milioni ad appena 6 milioni nel 2020.
Questo sarebbe l’ultimo atto della cancellazione del cristianesimo nella regione stessa dove è nato, dove ha fissato la sua dottrina, e dove si è dotato di strutture che ancora oggi, regolano la propria vita comunitaria nel resto del mondo: episcopato , concili ecumenici, clero, monachesimo.
Perché questa situazione? In un articolo pubblicato lo scorso ottobre, da un giornale vicino alla Santa Sede, Civiltà Cattolica, l’analista italiano Giuseppe de Rosa, ricorda che l’Islam è innanzitutto “la religione della Jihad”, “una interminabile impresa di guerra con lo scopo di conquistare i territori” che ancora non gli appartengono.
Non ragiona quindi che in termini binari: membri del gruppo contro gli stranieri, amici contro nemici, ausiliari utili o popolazioni inutili, fedeli o infedeli.
Immensa differenza con la maggior parte delle altre religioni, a cominciare dall’ebraismo e dal cristianesimo, che anche quando ricorrono alla guerra, danno la priorità a delle considerazioni non bellicose, quali sono il diritto naturale o la società civile.
I cristiani hanno potuto essere tollerati dai poteri musulmani in certe epoche e in certi luoghi.
Quando le circostanze cambiano, questa tolleranza sparisce.
Fino al settimo secolo il Medio Oriente era quasi esclusivamente cristiano, l’Islam lo ha soppiantato con la forza.
Due grandi tappe: la conquista araba che islamizza l’Egitto e il levante in appena sei anni, dal 636 al 642: la conquista turca che si appropria dell’Asia minore tra il X e il XV sec.
Una sola e stessa strategia: qualche operazione militare decisiva permette ai musulmani di prendere il controllo politico di una provincia o di uno stato: il nuovo potere provoca in seguito delle divisioni tra i cristiani ( giacobiti contro i melchiti, copti contro ortodossi, greci contro latini); infine il regime della “dhimma” (“protezione”) miscuglio di misure discriminatorie e di oppressione finanziaria, incita un po’ alla volta i cristiani a convertirsi, in generale intere famiglie o parentele.
Alla fine di qualche generazione, un Paese che era cristiano al 90%, al momento della conquista non ha che qualche minoranza cristiana, sia nelle città dove esercitano delle professioni giudicate utili dal potere islamico, sia in qualche regione di difficile accesso, in particolare le montagne.
In due momenti, una modificazione del rapporto di forza globale tra l’islam e il cristianesimo ha permesso alle chiese di oriente di riprendere fiato e di conoscere una breve rinascita:
le crociate dall XI al XIII sec., e soprattutto l’espansione europea moderna dal XVIII fino ai due terzi del XX sec.
Durante questo secondo periodo (“il più felice della loro storia”) secondo l’universitario cristiano gerosolimitano George Hintlian, le comunità cristiane sono adottate dalle potenze occidentali:
la Russia veglia sugli ortodossi, la Francia sulle Chiese collegate a Roma, e La Gran Bretagna su tutte le altre comunità: l’Austria, la Germania, l’Italia e gli Stati Uniti e persino la Grecia intervengono in ugual misura.
I poteri musulmani sono dunque costretti a concedere alle minoranze una piena libertà religiosa e un’uguaglianza sociale o politica quasi completa.
I cristiani d’oriente hanno inoltre accesso più largamente dei musulmani ad un’istruzione di tipo occidentale, essa stessa fattore di riuscita economica: essi formano l’ossatura della classe media nell’impero ottomano fino alla I Guerra Mondiale, prima di giocare un ruolo analogo fino al 1970 all’incirca nella maggior parte dei Paesi arabi.
Ma la fine della dominazione occidentale (o decolonizzazione) annulla questi diritti acquisiti in un attimo.
Gli occidentali consentono in nome dei loro principi, ebraico cristiani o laici: diritto naturale, diritti dell’uomo.
I musulmani non ci vedono che un ritorno del bilanciere geopolitico in loro favore, anche se è meno dovuto ad una vittoria militare che alla semplice demografia (in media il tasso di natalità dei musulmani è due volte più elevato di quello dei cristiani nel Medio Oriente).
In certi Paesi islamici i cristiani o certi gruppi cristiani sono espulsi.
Altrove, li si porta di diritto o di fatto ad uno statuto di secondo piano che li costringe ad emigrare.
Il fenomeno si accelera con la salita dei movimenti integralisti o islamisti all’interno della società musulmana, che predicano una “jihad” permanente e l’esclusione totale dei non musulmani dalle zone anticamente islamizzate, come il mondo arabo.
TURCHIA
La Turchia ottomana aveva intrapreso nel 1915 l’elimianzione della minoranza cristiana armena d’Anatolia orientale ( un milione e mezzo di persone).
Nel 1992 Mustafa Kemal espulse la comunità greco ortodossa d’Asia Minore (1,5 milioni di persone), misura seguita da un cambio di popolazione: il trasferimento in Anatolia dei Turchi che vivevano ancora in Grecia (500 mila persone) .
All’incirca 300.000 Greci vivevano ancora nella regione di Istanbul, e del mar di Marmara, rassicurati dal regime repubblicano e laico, istituto da Kemal a partire dal 1923: le discriminazioni all’inizio degli anni ’40 poi una serie di pogrom all’inizio degli anni ’50 comportano delle partenze di massa.
Non di meno la Repubblica turca ha punito gli istigatori dei pogrom: arrivando fino a condannare alla forca il Primo Ministro dell’epoca, Adnan Menderes. Ora in Turchia non rimangono che 100.000 cristiani.
SIRIA
Le comunità cristiane (greco-ortodosse, melchite, armene, aramaiche) formavano un quarto della popolazione siriana all’inizio del 20° secolo. Esse rappresentano ancora il 7% della popolazione attuale: 1,5 milioni su 20 milioni. Questa relativa sopravvivenza si spiega per le particolarità della politica locale: il regime Assad, posto dal 1970, si appoggia sulla minoranza musulmana alauita che, al fine di controbilanciare la maggioranza sunnita (un po’ più del 50% della popolazione) ha stretto delle alleanze con le altre minoranze del Paese, cristiani ma anche drusi o sunniti kurdofoni. Pertanto, i cristiani non hanno cessato d’interrogarsi sull’avvenire. E di emigrare, quando ne avevano l’occasione. Al bisogno si fanno passare per palestinesi all’estero, al fine di beneficiare degli aiuti caritativi o delle simpatie politiche.
Una “menzogna onesta”: una parte dei palestinesi sono di origine siro-libanese.
LIBANO
Nel 1932, 800.000 cristiani formavano il 55% di una popolazione libanese stimata di 1,5 milioni di persone. Oggi, dopo diverse turbolenze e soprattutto la lunga guerra civile della fine del XX secolo (1975-1990) i cristiani sono 1,5 milioni, il 27% su 4,5 milioni. Più della metà di loro sono dei rifugiati “dall’interno”, cacciati dalla loro città o villaggio d’origine e costretti a reinserirsi nelle ultime roccaforti a maggioranza cristiana, come la periferia est di Beirut. Una diaspora libanese cristiana si è costituita in Europa, Stati Uniti, America del Sud, Africa Subsahariana, Australia. In totale essa conterebbe 6 milioni di persone, di cui 2 milioni negli Stati Uniti. Se il Presidente della Repubblica è sempre un cristiano (una tradizione dal 1943) il potere reale è ormai nelle mani dei musulmani sunniti o sciiti. Certi clans cristiani si sono alleati con gli alauiti siriani “protettori” e occupanti il Libano dal 1990. Altri, in particolare il Patriarca maronita Nasrallah Sfeir, militano per la restaurazione dell’indipendenza nazionale.
PALESTINA
All’inizio del 20 secolo i cristiani formavano quasi ¼ della popolazione araba palestinese, un po’ più di 100.000 persone su un totale di mezzo milione. Nel 1948 probabilmente ne formavano il 20%: 300.000 su 1,2 milioni. Dopo la prima guerra arabo-israeliana si contavano circa 70.000 cristiani spostati, oltre a 500.000 rifugiati musulmani. Tra il 1949 e il 1967, il regime giordano, potenza occupante la Cisgiordania, ha moltiplicato le angherie verso i cristiani e favorito la loro emigrazione: la popolazione cristiana di Gerusalemme Est passa in quel periodo da 28.000 a 11.000 persone, ciò significa che 17.000 persone (61% della popolazione)sono state cacciate. Il regime israeliano, dal 1967 al 1993, favorisce al contrario il mantenimento dei cristiani sul posto, ma senza arrivare ad unire a Gerusalemme le località cristiane della periferia, come sperava il sindaco cristiano di Betlemme Elias Freij. La creazione nel 1994 dell’Autorità Palestinese, il quasi-Stato musulmano diretto da Yassser Arafat, è una catastrofe: delle persecuzioni continue conducono alla partenza dei ¾ della comunità. Alcuni fra loro trovano rifugio in Israele, altri in Europa o Stati Uniti. A Betlemme non c’è più del 15% dei cristiani nel 2003, contro il 62% del 1990: gli abitanti cristiani espulsi sono stati rimpiazzati da dei Beduini islamisti della regione di Hebron.
ISRAELE
Unico Stato non arabo e non musulmano del Medio Oriente, Israele conta oggi 350.000 abitanti cristiani su 6,5 milioni, quando se ne recensivano nel 1951 30.000 su 1,5 milioni: in cifre assolute, questa popolazione si è moltiplicata più di undici volte; in cifre relative, in rapporto a una popolazione in forte crescita, è passata approssimativamente dal 3 al 6%.
Nel corso dei primi 20 anni che hanno seguito l’indipendenza (1948-1968), numerosi cristiani israeliani di cultura araba sono emigrati.
Oggi si assiste al contrario a un’immigrazione dei palestinesi cristiani di Cisgiordania in Israele. Le comunità cattoliche e ortodosse sono state inoltre rinforzate negli anni ’90, per l’arrivo di numerosi cristiani dell’ex URSS autorizzati a immigrare in ragione dei legami familiari con degli ebrei. Il Vaticano ha siglato un concordato con Israele nel 1998 e ha appena creato un vescovato cattolico di lingua ebraica.
GIORDANIA
Al momento della sua creazione nel 1923, l’emirato di Transgiordania non contava che mezzo milione di abitanti, di cui qualche migliaio di beduini cristiani, discendenti dalle tribù cristianizzate accertate in Arabia fino all’epoca di Maometto. Dopo il 1948, questa comunità si è ingrandita per dei rifugiati cristiani palestinesi di Gerusalemme che avevano legami di parentela e matrimonio dal XVII secolo. Oggi rappresenta il 10% circa della popolazione totale. Dal 1970, la dinastia Hascemita protegge questi cristiani al fine di accattivarsi l’opinione pubblica occidentale. Uno dei confidenti del defunto re Hussein, il giornalista Rami el- Khouri, era cristiano.
IRAK
Quasi 10% di cristiani in Irak nel 1920 (300.000 su 3 milioni di abitanti), 3% oggi (un milione su 24 milioni). Uno degli “atti fondatori” del nazionalismo iracheno è stato il massacro, nel 1932, di parecchi migliaia di Assiri cristiani del nord del Paese, di lingua aramaica, e l’espulsione di parecchie decine di migliaia di sopravissuti. E’ vero che questa comunità reclamava la creazione di uno Stato autonomo. Il primo re, Faycal Ier, personaggio romantico venuto da Hedjaz, è morto di dispiacere e di disgusto qualche mese più tardi dopo questo genocidio, mentre suo figlio Ghazi organizzava una parata per celebrare l’avvenimento. Gli altri cristiani iracheni in particolare i Caldei cattolici sono emigrati al 50%, o si tengono a un’atteggiamento di sottomissione assoluta verso il potere musulmano. Saddam Hussein aveva come Ministro degli Affari Esteri un cattolico, Tarik Aziz, oggi prigioniero degli americani. Fondatore del Baath, il partito nazionalista arabo del quale si reclamava Saddam, il cristiano siriano Michel Aflak è stato costretto a convertirsi all’Islam quando si è rifugiato in Irak negli anni ’70.
ARABIA SAUDITA
Il cristianesimo e l’ebraismo sono proibiti nel regno, col pretesto che la penisola arabica, terra santa dell’Islam è analoga a una moschea. Gli ebrei non possono ottenere dei visti di entrata, a meno che non abbiano un passaporto diplomatico. I cristiani stranieri come diplomatici, uomini d’affari non possono celebrare il loro culto se non in privato. Il proselitismo comporta l’espulsione immediata se si tratta di uno straniero, e la morte se si tratta di un Saudita o di un cittadino residente in un paese musulmano.
PAESI DEL GOLFO, YEMEN
I cittadini non possono praticare un’altra religione diversa dall’Islam; le minoranze, prima numerose, sono state progressivamente espulse. Gli stranieri (compresi i residenti permanenti) sono autorizzati a praticare il cristianesimo in privato. Qualche famiglia ebrea autoctona gode dello stesso privilegio nel Bahrein e nello Yemen.
IRAN
Ufficialmente, la popolazione cristiana non raggiunge lo 0,2%. Certe volte si stima lo 0,5%. Trattata bene sotto la dinastia Pahlavi, essa beneficia di una certa indifferenza da parte della Repubblica Teocratica istituita da Khomeini nel 1979, e dispone di un deputato nel parlamento. Ogni atto di proselitismo è punito con la morte, anche le relazioni con donne musulmane. Gli allievi delle scuole cristiane devono assistere a dei corsi di iniziazione all’Islam, destinati a “affrettare la loro conversione alla religione autentica”. Le autorità di Tehran preferiscono i cristiani “nazionali” come gli armeni, installati nel Paese dal XVI secolo, agli stranieri arrivati più tardi. I cattolici sono particolarmente mal visti soprattutto dopo la conversione della principessa Ashraf, sorella gemella dell’ultimo scià. La metà dei cristiani iraniani sarebbero fuggiti dal 1979. La maggioranza si è rifugiata in California.
EGITTO
Sono i copti egiziani che, unendosi ai conquistatori arabi nel 642 per astio verso i bizantini ortodossi, hanno reso irreversibile la progressione dell’Islam in Oriente. Questa comunità ha conosciuto una brillante rinascita nel XIX secolo e all’inizio del XX secolo, sotto la monarchia di origine turca fondata da Mehmet Ali. Essa rappresentava a quel tempo il 15-20% della popolazione e difendeva l’idea di una civilizzazione “faraonica” propria all’Egitto e diversa dalla cultura araba. La rivoluzione nasseriana, a partire dal 1952-1953 le è stata fatale: i copti sono stati esclusi dalla classe politica, salvo qualche personalità simbolica (come il Ministro di Stato Boutros Ghali, divenuto Segretario Generale dell’ONU poi segretario internazionale alla Francofonia) poi spogliati del loro potere economico. Sotto Hosni Moubarak, al potere dal 1981, violenze di ogni genere (dall’attentato dinamitardo allo stupro) si sono moltiplicate incitando i giovani a emigrare verso la Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti. I copti non saranno oggigiorno più di 5 milioni in Egitto, il 6-7% di una popolazione egiziana globale stimata a 65 milioni di abitanti.
– Michel Gurfinkiel & Lo spettacolo del Mondo, 2004.
Traduzione Silvia Eid e di Giuseppe samir Eid
Samir Eid Raccolte
Intendono fornire gli strumenti per una inclusione sociale del flusso migratorio, gettare una luce sui diritti umani e la condizione di vita dei cristiani nel mondo islamico da cui proviene l’autore.La conoscenza dell’altro, delle diversità culturali e religiose sono ingredienti primari per creare la pace nei cuori degli uomini ovunque, premessa per una serena convivenza e convinta cittadinanza sul territorio.