DIALOGO ISLAMO CRISTIANO
163 CIVILTÀ DIVERSE: GUERRA O PACE? SCAMBI OPINIONI, ROTARY - 2014 Ho riflettuto su alcune perplessità solleva- te nella riunione di ieri sera: guerra o pace, dialogo, positività delle religione, come si identifica una religione è una etichetta di credo comune ad un gruppo di persone oppure qualcos’altro… Sino alla seconda guerra mondiale le re- gioni del globo erano abitate da persone in un dato territorio, un paese, legate da un denominatore comune stessa cultura, religione, credo abitudini e simili ad esem- pio: paesi di lingua e cultura araba con credo islamico di maggioranza, Europa l’Occidente, India e Pakistan, Giappone, Cina ecc. ciascuno abbastanza uniforme al suo interno privo della spinta di rivolu- zioni causate dalla diversità. Vedi il caso degli armeni in Turchia. Si può affermare ad esempio che l’elemento unificatore del- le popolazioni à risulta essere quello reli- gioso, vale a dire la comune religione isla- mica. Non consto di popolazioni senza un credo, religione anche l’ateismo in fondo è una etichetta simile ad un credo religioso discriminante verso chi crede. Non c’era questo ventaglio di incrocio di culture che riscontriamo oggi in un dato territorio. Un invasione di popolazioni at- tirate da spinte economiche, da facilità di spostamenti, internet, media e simili che ci mettono davanti al fatto compiuto. Por- tano il bagaglio culturale e sentimentale giunto ad essi attraverso l’insegnamento della loro religione attraverso l’educazione che hanno ricevuto nella famiglia e nella scuola. Ad esempio cosa avverrebbe in una città o territorio dove sono concentrate varie et- nie ognuna con le sue abitudini e credenze ciascuna desiderosa di voler imporre leggi di favore o separate per consentire ad una data categorie di far sopravvivere il vive- re sociale del paese di origine, può anche creare tensioni e situazioni concorrenziali .Questo può essere il seme che portereb- be alla guerra se non esistesse un collante comune a tutti che non può essere leggi derivanti da una religione specifica ma ri- conoscerei di essere inserito nel contesto nel quale opera. Per ovviare a questo pericolo della guer- ra di religione il paese ospitante dovrebbe premunirsi di offrire un collante che unisca tutti i componenti intorno a un progetto comune con una politica di inclusione che porta la popolazione a sentirsi a suo agio. Trovare un denominatore comune che scoraggia le derive. Inclusione non può voler dire spostarsi un po’ per far posto anche all’altro, a qualsiasi altro. Vuol dire costruire con la ragione un quadro di va- lori umani, una cornice del bene comune e dentro questa cornice far posto a chi la condivide, pur se di religione o di cultura diversa. Senza di ciò non si dà vera inclu- sione. Questo compito è eminentemente politico e la politica che se ne volesse esi- mere, limitandosi ad accogliere senza in- cludere, non svolgerebbe il proprio ruolo. A livello internazionale lo stesso concetto può essere applicate alle relazioni tra pae- si. Se dovesse persistere o scoppiare una guerra la causa non è la religione piuttosto che lo strumento per imporre un potere. E qui cito la baronessa Ashton: “La migliore risposta all'estremismo è creare un fron- te internazionale unito che si appoggi su standard universali di libertà di credo e religione. »
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