DIALOGO ISLAMO CRISTIANO
217 valgono più di lunghi discorsi. Ad Aleppo, in Siria, nel breve volgere di pochi anni i cri- stiani si sono ridotti a poche migliaia e, cau- sa il perdurare dell’attuale oppressione, essi sono destinati a scomparire. Nel Libano, come dichiarato dall’attuale Patriarca della Chiesa di quel Paese, continua incessante l’esodo dei maroniti, ortodossi e cattolici. I cristiani dell’Iraq sono continuamente per- seguitati e condannati a morte secondo la sharia, come testimoniano di continuo i tanti profughi iracheni che vivono in Italia. Anche l’Egitto, Paese che passa per pro- gredito, ha reso difficile la sopravvivenza dei cristiani copti. Debbono nascondere la loro fede, altrimenti vengono emarginati e di conseguenza non possono lavorare per vivere. Questo l’ho potuto constatare di persona attraverso testimonianze dirette in un soggiorno a Sharm el-Sheikh. Potrei continuare sullo stesso argomento, sem- pre con fatti e azioni anticristiani accertati in Iran, Turchia, Algeria, Pakistan, Sudan e così via. Non sono l’edificazione di alcune chiese, come si evidenzia dalla sua risposta, che possono determinare i Paesi islamici come tolleranti. Quando queste chiese sono vuote perché frequentarle può costare la vita, forse è me- glio non costruirle. Gabriele Murra, Bolzano, Caro Murra, non ho detto che i Paesi islamici sono tol- leranti. Mi sono limitato a spiegare perché il principio della reciprocità sia difficilmente applicabile nelle circostanze da me descrit- te. E ho aggiunto che un Paese democrati- co, fondato sulla tolleranza, non può veni- re meno ai propri principi senza tradire se stesso. Vi sono comunque nella sua lettera argomenti che suggeriscono qualche rifles- sione. E’ certamente vero che i cristiani, in alcuni Paesi musulmani, sono vittime di trattamenti ingiusti e privati di alcune fon- damentali libertà. Ma i casi da lei elencati sono molto eterogenei. In Siria, qualche mese fa, sono stato molto favorevolmente colpito da due fattori: l’ospitalità assicura- ta dalle autorità siriane ai profughi iracheni (molti dei quali sono cristiani) e l’esistenza di un quartiere ad Aleppo in cui sorgono chiese che rappresentano tutti i culti cristia- ni del Levante. In Libano, recentemente, ho incontrato il Patriarca dei maroniti, Nasral- lah Boutros Sfeir, nel suo palazzo di Bkirki alle pendici delle colline che salgono verso il Monte Libano. Da lui ho appreso che un milione di maroniti ha lasciato il Paese du- rante i lunghi anni della guerra civile. Non sono partiti, tuttavia, perché colpiti da parti- colari discriminazioni e persecuzioni. Se ne sono andati da un Paese in guerra perché, a differenza di altri gruppi religiosi, potevano contare sulla solidarietà di una grande dia- spora maronita (circa otto milioni di perso- ne), ormai felicemente installata in Europa, nelle Americhe e in Australia. Le ricordo che in Libano, nonostante la forte diminu- zione della componente cristiana, la co- stituzione materiale prevede tuttora che il presidente della Repubblica (l’ultimo è stato eletto dal Parlamento due mesi fa) sia ma- ronita. Il caso iracheno è certamente il più doloroso. Ho incontrato a Damasco profu- ghi assiri e caldei che sono stati maltrattati, ricattati, costretti a scegliere fra l’esilio e la morte. Ma conviene ricordare che nell’Iraq di Saddam Hussein questi stessi cristiani potevano liberamente professare la loro fede ed esercitare le loro attività econo- miche. Il dramma delle comunità cristiane irachene comincia con l’invasione america- na del Paese nella primavera del 2003. In Egitto i copti rappresentano grosso modo il 6% di una popolazione che comprende 71 milioni di persone. Vi sono stati incidenti e scontri sanguinosi con gruppi dell’islami- smo radicale, soprattutto durante la cam- pagna elettorale per il rinnovo dall’Assem- blea popolare. E il governo è forse meno liberale nei loro confronti di quanto fosse in passato. Ma i copti continuano ad avere posizioni importanti nella società egiziana.
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